Valutazione
***
Titolo originale: Le gamin au vélo
Anno: 2011
Durata: 87 minuti
Regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
In un ritrovato interesse per il
complesso rapporto tra il mondo dell'infanzia e quello adulto (in particolar
modo il rapporto padre-figlio) i due registi belgi affrontano questa volta
il tema dell'abbandono e del disagio esistenziale in maniera differente dai precedenti lavori (L'enfant su tutti), meno
angosciante e sofferta e più incline all'ottimismo.
Nel rapporto tra Cyril - un adolescente fragile, ostile
a regole e disciplina, bisognoso di amore ma restio ad amare - e Samantha -
giovane donna disponibile e premurosa, incline a dispensare affetto -
si scorge più volte uno spiraglio di luce, un avvicinamento tra i due
personaggi che indica l'instaurarsi di una connessione umana ed emotiva, anche
se debole e profondamente instabile.
D'altro canto, sono proprio i Dardenne ad affermare "Il ragazzo con la bicicletta
potrebbe anche essere una favola: il bambino che cerca il padre, il
bosco dove si perde, l'incontro con il cattivo, la salvezza con la fata
buona. Lo stesso Cyril è un po' un Pinocchio...Ma per noi è soprattutto un incontro felice tra una donna e un ragazzino, una storia d'amore che non avevamo mai raccontato".
Avendo bene a mente "l'estetica del pedinamento" zavattiniana, i Dardenne usano la camera da presa per fotografare la realtà attimo dopo attimo, seguendo con una sorta di pedante continuità il giovane protagonista senza mai abbandonarlo. Un realismo quasi "documentaristico" che si spoglia di ogni barocchismo scenografico e narrativo a favore di un cinema più povero e più indirizzato ai contenuti che alla forma.
La scelta di non approfondire la
caratterizzazione dei personaggi e di proiettare lo spettatore direttamente al
presente - senza un minimo accenno agli antefatti - risulta a mio avviso
discutibile, in quanto rischia di semplificare e svilire una storia che, seppur
nella sua grande semplicità, avrebbe molto da raccontare, forse anche più di quel che i registi sono riusciti a far emergere.Avendo bene a mente "l'estetica del pedinamento" zavattiniana, i Dardenne usano la camera da presa per fotografare la realtà attimo dopo attimo, seguendo con una sorta di pedante continuità il giovane protagonista senza mai abbandonarlo. Un realismo quasi "documentaristico" che si spoglia di ogni barocchismo scenografico e narrativo a favore di un cinema più povero e più indirizzato ai contenuti che alla forma.
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