mercoledì 8 giugno 2011

Il cortometraggio


Il cortometraggio nasce con il cinema. O meglio, sarebbe più opportuno affermare che è il cinema stesso a nascere con un cortometraggio. La Sortie de l'usine Lumière o L'arroseur arrosé sono due dei dieci film dei fratelli Auguste e Louis Lumière che vengono proiettati durante il primo spettacolo pubblico di cinematografo nel dicembre del 1895 a Parigi. Pur se di brevissima durata – inferiore al minuto - rappresentano, convenzionalmente, il punto di partenza della storia del cinema. E ancora, qualche anno più tardi, La passion du Christ di Lear (1897), Viaggio nella luna (1902) e Viaggio attraverso l'impossibile (1903) di Melies, Assalto al treno di Porter (1903) ed altri ancora. A partire dagli anni '10 inizia però ad imporsi come nuovo standard il lungometraggio con Quo vadis? di Guazzoni (1912), Cabiria di Pastrone (1914) e La nascita di una nazione di Griffith (1915).
Non passa molto tempo che il lungometraggio raggiunge la diffusione di massa ed i cortometraggi vengono posti rapidamente in secondo piano. Questa condizione di subalternità non si manifesta soltanto dal punto di vista del “successo di pubblico”, ma anche per quanto riguarda la valenza artistica che li caratterizza. 
Spesso il cortometraggio viene infatti soltanto considerato come una sorta di “palestra” nella quale i nuovi registi possano iniziare a sperimentare in vista di quello che viene poi definito come “passo successivo”, quello principale a cui prima o poi tutti aspirano: il lungometraggio, per intenderci. In realtà questa affermazione, seppur vera da un certo punto di vista (è normale che il giovane regista trovi in esso un ottimo campo di sperimentazione di stili e linguaggi), risulta essere alquanto riduttiva e non del tutto corretta, limitando il cortometraggio ad una sorta di “sottogenere” del lungometraggio, quindi ad esso qualitativamente inferiore. Secondo Roland Barthes, il cortometraggio costituisce una “forma breve”, che non significa però minore: esso è “un genere come un altro, non un ripiego”, e dunque non è inferiore al lungometraggio né dal punto di vista artistico, né tantomeno da quello espressivo. Non bisogna dunque credere che la durata sia direttamente proporzionale alla valenza dell’ opera: infatti, seppur “breve“, essa comporta scelte e strategie stilistico-narrative particolari, tanto da renderla una forma espressiva autonoma e ben definita. Fortunatamente già a partire dagli anni ottanta - soprattutto in Europa - questa tendenza di considerare il cortometraggio come “circuito di serie B” è stata ampiamente discussa ed ormai abbandonata (ci sono, per esempio, festival dedicati esclusivamente ad esso). Al corto deve essere attribuita pari dignità ed importanza, in quanto non costituisce un ripiego, bensì un mezzo alternativo che permette di raggiungere momenti altrettanto elevati nonostante la sua “limitata” durata.
Prima di concludere, mi soffermo un attimo su quella che dovrebbe essere la definizione di cortometraggio. La legge 1213 del 1965 lo definisce come “opera filmica, realizzata da imprese produttrici nazionali, a contenuto narrativo o documentaristico, con esclusione di quelle con finalità anche parzialmente pubblicitarie, di durata inferiore a 75 minuti”. Generalmente viene però definito cortometraggio un ‘opera cinematografica di qualsiasi genere che presenti una durata non superiore ai 30 minuti, titoli di testa e di coda inclusi. Il limite dei 30 minuti è chiaramente molto arbitrario e vuole semplicemente indicare che oltre una certa durata risulta necessario l’inserimento di trame secondarie in grado di svilupparsi armoniosamente e di interagire con la trama principale. Il cortometraggio deve invece tendere all’ essenzialità della narrazione (attraverso pochi elementi deve comunicare qualcosa di importante allo spettatore).

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