mercoledì 4 maggio 2011

Neorealismo


E' opinione abbastanza comune che questa "tendenza" cinematografica nasca nel 1943 con Ossessione, lungometraggio di Luchino Visconti. E' proprio il critico Umberto Barbaro che intitola la recensione di tale film "neorealismo", seppur tale termine vanti un' origine ben precedente da ricercarsi nella letteratura, con i romanzi Gli indifferenti di Moravia (1929) e Gente in Aspromonte di Alvaro (1930). 
Ad ogni modo, bisognerà attendere il 1945 affinché il Neorealismo si affermi a livello internazionale con Roma città aperta di Rossellini (nel 1946 vince la Palma d'oro al festival di Cannes come miglior film). Proprio a questo lungometraggio si riferiscono le parole dell' attore e regista Otto Preminger, che rimasto estasiato dopo la sua visione afferma "La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta". Seguono poi nel '46 Paisà di Rossellini e Sciuscià di De Sica e nel '47 Caccia tragica di De Santis. Il '48 è l' anno in cui escono tre grandi capolavori quali Ladri di biciclette di De Sica, La terra trema di Visconti e Germania anno zero di Rossellini.
Si può dunque affermare che il neorealismo più "autentico" duri davvero pochi anni, indicativamente fino al '48. Nel periodo successivo, in particolar modo nei primi anni cinquanta, la forma largamente più diffusa all' interno del movimento diventa il neorealismo rosa, ovvero una sorta di neorealismo dei primi tempi proiettato però maggiormente verso la commedia (dopo la guerra cambia il contesto socio-economico italiano e gli spettatori iniziano a guardare con una certa diffidenza quella produzione che tratta sempre gli stessi temi - povertà e disagio - e fatica ad adattarsi ai tempi ormai mutati) .
Spesso si tende a dipingere il Neorealismo come un movimento assai consapevole ed omogeneo, che presenta alcune "caratteristiche" comuni che informano i vari lungometraggi, quali la presenza di attori non professionisti, le inquadrature poco ricercate ed un pò improvvisate e le scene girate perlopiù in esterni. In realtà questo non sempre accade: i dialoghi vengono spesso doppiati, come in Ladri di biciclette, dove la voce del protagonista (Lamberto Maggiorani) viene sostituita per rendere più realistica la sua interpretazione; le scene vengono girate anche in interni, spesso ricreati in studio (talvolta viene posta grande attenzione sull' illuminazione degli ambienti); oltre agli attori non protagonisti, capita che si trovino a recitare grandi star del cinema italiano (consideriamo, per esempio, Aldo Fabrizi e Anna Magnani in Roma città aperta). Infatti, secondo lo stesso Bazin, che partendo proprio da questo film formula la "legge dell'amalgama", non è l'assenza di attori professionisti che caratterizza il Neorealismo, bensì l' amalgama tra i due tipi di attori - professionista e non - ...e solo quando quest' amalgama riesce, ecco che "si ottiene quella straordinaria impressione di verità dei film italiani attuali".
Federica Villa, in Introduzione alla storia del cinema ( a cura di Paolo Bertetto), afferma che i quattro punti di vista che meglio hanno saputo definire questo movimento siano stati Rossellini, Visconti, De Santis e la coppia De Sica-Zavattini. Queste le quattro posizioni, spesso in contrapposizione tra loro, sia per formazione che per il modo di intendere e concepire i propri film e la loro struttura narrativa. Per questo, sempre secondo l' autrice, il Neorealismo può essere visto come " un insieme di voci, non sempre in accordo tra loro, ma comunque solidali nel portare avanti un nuovo modo di pensare e di fare cinema". Da una parte Visconti, con uno stile di ripresa sempre elegante e raffinato, talvolta quasi teatrale (il suo stile, tra tutti quelli dei grandi registi, è forse quello più lontano dai "canoni" tipicamente neorealisti); dall' altra Rossellini, con il suo stile anti-spettacolare, diretto e apparentemente più semplice di quello di Visconti, però sempre capace di produrre risultati complessi e di elevatissimo pregio. Lo stesso Rossellini dichiarò una volta "Se per errore mi capita di girare un' inquadratura bella, la taglio". Da una parte ancora De Santis, che cerca sempre di privilegiare una sorta di popolarizzazione dei suoi film, "abbassando notevolmente i canoni neorealisti per una resa popolare"(Villa). Infine la coppia De Sica-Zavattini, sempre propensa ad una minimalizzazione della narrazione a favore di un cinema in grado di svelare il "dramma" celato dietro i più semplici eventi quotidiani. E' dunque il "gesto minimo" la lente che ci permette di mettere a fuoco e di comprendere al meglio il singolo individuo e il rapporto che egli instaura con i suoi simili.
D' altro canto, è doveroso far notare la presenza di una sorta di "filo comune" che accompagna e anima i diversi registi e di conseguenza le loro opere. In tutti i lungometraggi neorealisti si nota la tendenza ad una variazione dello "scenario cinematografico" del tempo, attraverso la definizione di personaggi ed avvenimenti fino ad allora ignorati o semplicemente relegati ad un ruolo di profonda marginalità. Emerge dunque l'esigenza di trattare temi quali la disoccupazione, il disagio e l' emarginazione sociale; più in generale tutti quei problemi nati a causa del conflitto mondiale. E nella scelta dei soggetti, chi più della gente comune può farsi portatore di tutto ciò e rappresentare al meglio questa sofferenza e questo senso di inadeguatezza al contesto? E' inoltre spesso presente una sorta di aspirazione alla rappresentazione della vita reale così come viene percepita e vissuta dalla gente comune; si cerca dunque di registrare la realtà e le sue più intime sfaccettature - piuttosto che realizzarne una critica - rivelandola nella sua più autentica natura, svuotata da qualsiasi tipo di filtro artistico volto a manipolarla o comunque a non presentarla nella sua interezza.
Un' ultima nota: molte delle opere neorealiste riscossero davvero poco successo presso il pubblico, spesso molto più attratto dall' assai più prolifica produzione americana. Per porre un freno al dilagare dei film americani, nel 1949 venne emanata la "Legge Andreotti" (di certo non priva di difetti), che da un lato stabilisce i limiti sulle importazioni e dall' altro cerca tutelare e promuovere la produzione italiana.

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